Nostalgia, nostalgia canaglia.

Cos’è la nostalgia? In senso generico, rappresenta uno stato emotivo, caratterizzato da una condizione di percepita “assenza” verso qualcosa che non possediamo più.

Deriva dal greco “nostos” che significa “ritorno” e “algos” vale a dire dolore: dolore del ritorno.

In essa è contenuta la tristezza, in quanto diretta conseguenza del nostro rimuginare su ciò che è passato, ma non è (solo) un’emozione, è una condizione umana che percepiamo nettamente anche a livello fisico nel momento in cui ci ritroviamo tra le mani una vecchia foto o quando parte una determinata canzone alla radio. E’ un flash più o meno rapido che si insinua tra la gola e lo stomaco, una lama che punta dritta alle viscere oppure il retrogusto dolceamaro che ci culla quando ci ritroviamo assorti in un ricordo di gioventù.

Nostalgia può essere uno stato di grazia che ci aiuta a valorizzare il presente – come scrisse Oscar Wilde, in ogni istante della nostra vita siamo ciò che saremo, non meno di ciò che siamo stati, o una catena che ci tiene saldamente ancorati (e accorati) in un passato spesso idealizzato, impedendoci di direzionarci verso il futuro.

Non si guarisce mai da ciò che ci manca, ci si adatta, ci si racconta altre verità. Si convive con se stessi, con la nostalgia della vita, come i vecchi.  Margaret Mazzantini.

Alcuni studi condotti da Routledge e colleghi, definiscono la nostalgia come una componente importante ai fini dell’adattamento nel presente: cullarsi nel ricordo di ciò che non abbiamo non significa più -come si credeva un tempo – auto mutilarsi rigirandosi il coltello nella piaga, ma porci in uno stato che ci aiuta a rafforzare la sensazione di vicinanza agli altri, presumibilmente persone che con noi hanno condiviso un importante pezzo di vita (Wildschut, Sedikides, Arndt, & Routledge, 2006).

Nostalgia rappresenta in un certo senso un significativo “inno alla vita” e grazie alla condivisione di questi nostri pensieri possiamo crearci uno spazio terapeutico, un balsamo con retrogusto amaro sì, ma per qualcosa che di buono c’è stato.

Solamente nel caso in cui questi pensieri diventino incessanti rimuginazioni dalle quali non riusciamo ad uscire, c’è il rischio di entrare nella sfera psicopatologica di tipo depressivo. Ecco che allora “nostalgia” perde il suo valore conservativo che ci aiuta ad attribuire un senso alla vita, diventando ineluttabile perdita e pessimismo cosmico.

Molti autori, poeti e filosofi hanno scritto e parlato di nostalgia nell’ultimo secolo, cercando definizioni o trasportando su brani e articoli questa sensazione chiara-scura che l’accompagna e la definisce.

Tra tutti ho scelto di riportare uno scritto di Andrea Pazienza, fumettista e pittore italiano venuto a mancare prematuramente a Montepulciano nel 1988. In queste parole a mio avviso egli riesce a comunicare in maniera magistrale il vissuto nostalgico carnale e mentale che prova verso una donna, causa di mille sofferenze, esprimendosi con un “ritorno ad un tempo ubriaco della tua pelle soffice”: una definizione che rende l’idea di quanto in certi casi faccia male ritornare nel passato, ben sapendo quanto sia altresì difficile prenderne le distanze.

 

Tasto le mie piante di neve,

volo sulle tue angosce

riversano amore sulle mie membra

e s’agitano a farmi morire,

vorrei non mi guardassi rapita

ma diventassi per un attimo pratica

non puoi dirmi di fare tesoro

fai quello che vuoi

ho bisogno di sentirmi guidato

dalla tua fantasia di donna che sa.

Ritorno ad un tempo ubriaco

della tua pelle soffice

quando per un tuo sorriso prezioso ero disposto

a rinunciare alla parte migliore di me,

quando per i tuoi occhi di niente

mi trascinavo idiota e stanco

quando per tutta la gente

ero un solitario

acrobata santo,

per non averti mai chiesto nulla

che andasse oltre la tua dimensione

catastrofica e ridicola insieme

di ricca fanciulla ragazza perbene.

Ora la mia vena è esaurita

ti giuro non oso parlare

per farti star male un momento per bene,

per farti capire per riuscire ad amare.

Ho chiesto soldi alle mie sicarie

ho chiesto in ginocchio un mese di tempo

le mie promesse le ho rispettate ed ancora

della tua infedeltà sono monastico tempio.

Non riuscirei mai continuando

a fingermi ancora mercante di noia,

si vende a peso o a metro quadrato,

nella mia anima è un vero lerciaio.

Sono disposto ancora ad una cosa amore

vecchia giovane vamp

a ritruccare il mito della tua gloria

all’altare nascosto della viltà,

per consolarmi osservando l’immagine

dei tuoi capelli da capogiro,

delle sacre bibbie del tuo seno

che troppo spesso ho confuso con Dio.

Andrea Pazienza, 

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